Nelle comunità agricole, come la Pertica, dopo la specifica festa di S. Antonio abate, che termina generalmente con l’inizio della Quaresima, il gruppo abbandona la norma, cioè il quotidiano, decretando un periodo di “caos”, di mondo alla rovescia, nel quale il buffone può diventare re e viceversa, invertendo così l’ordine sociale costituito. Decade ogni tipo di gerarchia. Attraverso il mascheramento, arriva il Carnevale: si esce dal quotidiano, ci si disfa del proprio ruolo sociale (soprattutto se basso) e, negando la propria identità a se stessi, si può diventare qualsiasi altro. Ci si inoltra nel sovvertimento, nell’eccesso, nella lotta o rivalità tra entità e/o ceti diversi, quasi opposti: bene-male, bello-brutto, sacro-profano, maschio-femmina, contadino-allevatore, padrone-servo, ecc. A Livemmo questa interpretazione della vita raggiunge, nel suo Carnevale, momenti di controllato delirio nelle tre maschere fondamentali, (ma semplicistica ne è tale riduzione): la “vècia del val”, l’”omahì dal zerlo”, il “doppio”. Esse portano in campo, anzi in piazza, la ribellione ad uno “status” generazionale, a classi sociali rese chiuse, forse non istituzionalmente, ma da una endemica povertà e conseguente incapacità situazionale a risollevarsi, a condizioni servili umili – quale quella femminile – e di sottomissione totale. …
Un salto nel passato in uno dei posti più incontaminati che conosca è stato un toccasana in grado di farmi sorridere per tutta la settimana. (Ago di Pino, 23/02/2017) Ricordano l’ambiguità dell’animo umano che si palesa nei giorni di Carnevale, permettendo al confine del reale di mescolarsi all’irreale, dando vita per qualche giorno a un mondo a sé. (Passi Creativi, 06/03/2017)